giovedì 28 luglio 2011

Ho fatto due etti e mezzo di diritti: che faccio, lascio?

Io su certe cose arrivo sempre a scrivere con un giorno di ritardo, e col rischio di far incazzare qualcuno quando ormai si e' passati ad altro, ma tant'e': anch'io avrei votato a favore della pregiudiziale di costituzionalita' per la Legge Concia. (Almeno da quel che so del ddl, dato che non sono riuscito a trovare il testo originale).

Intendiamoci, qui si ritiene che sul rispetto verso gli omosessuali l'Italia sconti un ritardo drammatico, una vera emergenza civile che non ha a che fare solo con gli atti di violenza che si sono moltiplicati in questi anni, ma anche con l'indifferenza e il fastidio di gran parte degli italiani verso gay e lesbiche che non si vergognano di riconoscersi come tali, e con la colpevole accondiscendenza verso i commenti indegni di molti politici in occasione dei Gay Pride.

Ma la legge Concia sarebbe una risposta sbagliata. Radicalmente sbagliata.

In parte per motivi giuridici, su cui non mi addentro piu' di tanto: non si tratta di tutelare gli omosessuali e non gli eterosessuali. Piuttosto, la Costituzione rifiuta le distinzioni di "sesso, razza, lingua, reglione, opinione politica, condizione sociale e personale" ed una legge che ne isoli una rispetto alle altre e' inevitabilmente discutibile. Pero' la questione non e' tanto questa.

Il problema e' politico, e sociale. L'idea dei diritti da assegnare per categoria e' due volte inaccettabile: perche' crea una societa' corporativa, dove il titolare del diritto non e' l'individuo ma l'appartenenza; e perche' se si sceglie la strada delle minoranze che si organizzano per se', con i gay che lottano per i gay, le donne per le donne, gli ebrei per gli ebrei, prima o poi si arriva ad una minoranza che e' troppo debole per conquistare il consenso necessario e resta privata della propria fetta di diritti.

Non e' solo una questione ideale, e' molto concreta: perche' picchiare un gay in quanto gay dovrebbe essere piu' grave che picchiare un ebreo in quanto ebreo? Non lo e' ovviamente, neanche per la Concia. Ma se si sceglie di fare un passo per volta, magari la prossima volta riusciamo a far passare una norma che protegge i gay, e con maggiore facilita' una che protegge gli ebrei, e in modo ancora piu' facile una che protegge i cristiani, o le donne, e poi? Quando si arriva ai musulmani? Secondo voi i musulmani in Italia sono forti abbastanza da lottare per una norma specifica che li tuteli dall'islamofobia? E il Parlamento, questo Parlamento, la voterebbe?
Ci si troverebbe facilmente in una situazione in cui picchiare un musulmano  in quanto tale sarebbe meno grave che picchiare un ebreo, o un gay, o una donna, o un cristiano in quanto tali. E questo e' inaccettabile per ogni persona civile, anche e soprattutto, lo so, per chi ha sostenuto il ddl Concia.

Poi secondo me e' vero che c'e' un'emergenza omofobia in Italia, ma c'e' un motivo per cui le legislazioni reattive di questo tipo non funzionano: prima o poi ci si ferma di fronte ad un'emergenza che e' considerata meno meritevole di altre, e questo genera tensioni che ci eviteremmo volentieri. (Basta pensare ad un musulmano che viene picchiato insieme ad un ebreo, e quest'ultimo pero' conta di piu'.)

L'unico modo, non il migliore o il piu' giusto, ma proprio l'unico modo di combattere l'omofobia sta nel combattere una battaglia contro le discriminazioni ideologiche, tutte e tutte insieme: perche' il rispetto per gli altri o c'e' o non c'e'.

domenica 24 luglio 2011

Genova 2001

Io non c'ero, in quei giorni, a Genova.
Non c'ero un pò per la pigrizia post-laurea, quel senso di vuoto tra l'ultimo esame e il primo cartellino, e un pò perchè mi ero allontanato dai movimenti e dall'impegno politico, dopo l'abbuffata del liceo che mi avea lasciato tante esperienze e poca voglia.
Però me li ricordo bene come tutti, quei giorni. E mi ricordo una sensazione in particolare, che non avevo mai avuto prima e di cui non avevo mai nemmeno sentito parlare: un senso di colpa civile. E generazionale.
L'idea che avrei dovuto esserci anch'io lì.
Non perchè quel movimento era parte di un percorso che era anche mio fino a qualche tempo prima: da quei percorsi si entra e si esce, e io me ne stavo costruendo un altro. E certo non perchè la mia presenza avrebbe fatto alcuna differenza: non conosco personalmente nessuno che sia finito male in quei giorni, nessuno che avrei potuto proteggere, nessuno che ho lasciato solo.
Avrei dovuto esserci perchè in quel momento, in quel posto, la mia generazione si stava facendo massacrare. Quei manganelli picchiavano su altri come me, che erano nati negli stessi anni, che avevano le stesse facce. Ci sono momenti in cui le cose vanno molto bene o molto male per una generazione, e quei momenti bisogna viverli insieme.
Avrei dovuto esserci e non c'ero proprio negli ultimi giorni in cui ci si sente davvero tutti la stessa cosa: fintanto che si è studenti, e io lo ero ancora per un pelo. Perchè poi si è lavoratori o disoccupati. Impiegati di questo o quel settore. Single. Fidanzati. Mariti. Padri. Perfino da lavoratore precario non mi sentivo parte della generazione co-co-co, e per fortuna non è nemmeno durata a lungo.
Ma studenti lo si è tutti insieme, e le giornate si scandiscono con gli stessi ritmi, ci si ritrova negli stessi posti. In classe. Per strada.
Avrei dovuto esserci, a Genova. E quel senso di colpa generazionale me lo porto appresso da anni. Mi ricordo che nei mesi successivi avevo per la prima volta paura dei poliziotti. Io che non ero mai stato nemmeno fermato, e certo non avevo la faccia o i modi da rivoluzionario. Avevo paura dei poliziotti forse anche per scontare il peso della mia assenza e appropriarmi di un pezzetto di Genova.
Quel senso di colpa l'ho ritrovato negli anni, quando sono saltati fuori i filmati, le testimonianze, i processi. E in questi giorni.
Non so se ci sia un modo di farlo passare, ed eviterei di farmi manganellare tanto per dire che anch'io le ho prese. E forse è meglio che non passi: che gravi su di noi, su tutti quelli che come me dieci anni fa erano una generazione. Così che chi fra noi si troverà sulle poltrone giuste, fra qualche anno, meglio prima che poi, possa spiegare cos'è successo davvero. E perchè.
E chiedere scusa.
A nome dello Stato.