venerdì 13 agosto 2010

Perchè Irene Tinagli sbaglia

Arrivo con qualche giorno di ritardo a commentare quest'articolo di Irene Tinagli, ripreso qui, in cui dice cose molto ragionevoli sui "temi sensibili" e sull'assenza della politica, che non ha offerto una sponda agli interrogativi che ci siamo trovati addosso in questi anni. 
E non si può che essere d'accordo sul fatto che 
"Le grandi questioni sociali e civili che hanno scosso le nostre comunità negli ultimi anni sono diventate «temi sensibili», rischiosi, difficili, e i politici hanno preferito evitarli oppure assecondare e cavalcare le paure e i dubbi ad essi collegati per cercare consenso facile, anziché aprire dibattiti seri ed informati."
Ma secondo me sbaglia, ed è un errore grave, in quest'altro passaggio in cui riconosce il pericolo di:
un concetto di libertà e di diritti civili e individuali che oggi a quanto pare sta diventando sempre più condizionato, limitato non tanto dal rispetto della legge, come dovrebbe essere, ma dalle sensibilità personali.

Che la "sensibilità personale" non possa essere il metro della convivenza di una civiltà moderna, o anche di una civiltà qualsivoglia, è inconfutabile. Ma credo che si sbagli quando individua nel rispetto della legge l'unico limite alla libertà individuale.

E credo che compia due errori in una volta sola:

Il primo è che in Italia viviamo in una situazione di bulimia legislativa per carenza d'alternative: e la conseguenza più grave non è solo o tanto la paralisi del sistema giudiziario, quanto soprattutto quella sensazione di "liberi tutti" ogni volta che non c'è una legge che proibisca specificatamente un certo comportamento, in quella terra di nessuno etica e deontologica che legittima i conflitti d'interesse, l'irresponsabilità e la linea editoriale del TG1.
In questo caso poi l'articolo non parla solo di biotestamento, ma parte invece dal pudore sui baci omosessuali e sul topless in spiaggia, e un anno di discussione legislativa fra Camera e Senato sui centimetri di corpo che sia legittimo baciare in pubblico e la distanza dal capezzolo che permette di definire un seno è uno di quegli spettacoli di cui faremmo volentieri a meno.

Il secondo errore è relativo al contesto specifico: dire che l'unico modo per vietare i baci omosessuali sarebbe un'eventuale legge è il miglior assist possibile a chi vorrebbe proprio una legge del genere, ma si vergogna, comprensibilmente, a parlarne. E se da una parte un divieto del genere avrebbe il merito, nella sua follia, di portare trasparenza, dall'altra bisogna essere consapevoli delle conseguenze se dovesse passare: la legge cambia molto più lentamente della società, per motivi procedurali e perchè si autolegittima.

Ecco, chi, oggi, potrebbe escludere che il Parlamento italiano possa produrre una legge che vieti i  baci omosessuali? Del resto sarebbe un connubio naturale fra i tanti divieti dementi del nostro Paese e quell'omofobia in salsa tricolore che non ci stiamo certo facendo mancare.

Forse il meno peggio è confidare nella società, e lasciare che gli stabilimenti che vietano i topless e i baci omosessuali, col tempo, siano popolati dalle compagne di ramino di Paola Binetti, che leggono Famiglia Cristiana bevendo una cedrata Tassoni.

mercoledì 28 luglio 2010

I sondaggi inutili e le due mosse di Bersani

Oggi Repubblica pubblica un sondaggio inevitabile quanto inutile. Condito da un commento fuorviante proprio per i suoi limiti strutturali.
Che poi basta guardarlo e si capisce.
Da questo


IL PROFILO DI IMMAGINE DI VENDOLA E BERSANI NELL'ELETTORATO DI CENTROSINISTRA

 

(% di risposte 'Molto+Abbastanza)
Base: Elettori di centrosinistra
Nichi VendolaPierluigi Bersani
Onesto
7086
Sincero
6886
Competente e preparato
6490
Moderno e Innovativo
6658
Parla chiaro - Sa comunicare
6866
Vicino alla gente
6764
Moderato
4683
Autorevole
5953
Affidabile
6388
Determinato
7174
Mediatore
5475
Concreto nel risolvere i problemi
6064


Antonio Noto, direttore di Ipr, trae la conclusione che gli italiani considerino Bersani un candidato migliore, ma poi in modo contradditorio e un po' immaturo scelgano Vendola, forse perche' stregati dalla sua narrazione emotiva. E' un modo comune, ma facilone e autoassolutorio, con cui  un bel pezzo di politica liquida il consenso del governatore pugliese.
La realta' e' che gli elettori di sinistra non si riconoscono in Vendola perche' dice belle parole; ma perche' dice belle parole con cui sono d'accordo.

Ed e' questo il limite del sondaggio IPR. Il problema di Bersani, ed in parte del PD, non e' mai stato un deficit di sincerita', mediazione, onesta' o (figuriamoci!) moderazione.
Il problema e' che ha poche opinioni, ma confuse. E quando ce le ha, spesso non soddisfano la base.
Un sondaggio che non parta da questo punto e' un sondaggio inutile.
Un'analisi che non lo riconosca e' un'analisi fuorviante.

Bersani ha quindi due sfide davanti a se': il merito ed il carattere della propria leadership.

Deve, e questo lo sappiamo da tempo, trovare il modo di delinare posizioni chiare sui temi rilevanti per gli italiani, e su queste costruire consenso nel partito e nella societa', al di la' di operazioni di alchimia elettorale.
E, non potendo cambiare carattere, deve costruire una narrazione che generi una domanda di affidabilita', responsabilita' e competenza.

Che, per inciso, sarebbe antitetica al berlusconismo, su un piano sostanziale e non sul colore dei calzini.

giovedì 27 maggio 2010

Cosa non si dice quando si parla di intercettazioni

Un paradosso, una premessa ed un riepilogo. E poi la riflessione su quello che manca.


Il paradosso è che il dibattito culturale sulle intercettazioni si fa più intenso proprio ora che il Governo sembra aver fatto marcia indietro. (O forse no.)
La premessa è che questo dibattito tratta la questione come se vivessimo in un altro Paese, e come se le intenzioni del governo non fossero molto più semplici: complicare le cose a chi indaga sugli intrecci illegali fra politica e affari, e se anche salta fuori qualcosa che almeno lo si tenga segreto così, tra trasferimento degli atti e prescrizioni, c'è sempre una speranza di cavarsela senza dover rendere conto all'opinione pubblica.
Il riepilogo infine è questo: Gilioli attacca Cundari (e attraverso lui D'Alema) in modo un pò sbrigativo per le posizioni espresse nel suo blog, Cundari replica, si aggrega Stella sul Corriere a cui controreplica sempre Cundari, e per finire Francesco Costa non si lascia sfuggire l'occasione di bastonare Gilioli per uno dei suoi eccessi "giustizialisti". Se proprio non bastasse, il Post propone altri commenti di contorno. 


Le argomentazioni suonano anche intelligenti, e dire che 
Non stiamo parlando di niente di diverso da Giovanardi che fa controlli antidroga a sorpresa nei bagni pubblici e nei bicchieri abbandonati per poi pubblicarli sui giornali. Non stiamo parlando di niente di diverso da un primario ciellino che pubblica sul giornale i nomi di chi ha abortito. 
 è sicuramente una frase ad effetto. Ma non c'entra una mazza. 


Il punto è che, tanto per cambiare, si fa confusione fra rilevanza penale e rilevanza sociale.


E' una confusione abituale, in un'Italia in cui parti opposte hanno fatto coincidere la responsabilità politica con quella penale, in senso punitivo (per cui i pregiudicati non dovrebbero essere candidabili: ma perchè?!) o in senso assolutorio (per cui un Andreotti non viene chiamato a rispondere delle proprie responsabilità politiche nel malaffare siciliano perchè un tribunale lo ha scagionato da responsabilità penali: embeh?!)
Ed è una confusione più giustificata in questo caso che in altri, dato che si tratta di operazioni disposte solo dalla magistratura, e solo per casi di rilevanza penale.


Ma una volta che le intercettazioni sono state compiute, la loro pubblicazione non è più questione di interesse giudiziario, ma sociale. E sono due principi che non hanno niente a che vedere l'uno con l'altro.


Se una persona accusata di aver ucciso la  moglie viene intercettata mentre se ne vanta con gli amici, non c'è un interesse sociale che giustifichi la pubblicazione a scapito della presunzione d'innocenza. L'unico interesse pubblico riguarda l'individuazione e la condanna del colpevole, e la collettività affida la tutela di questo interesse alla magistratura. Punto.
(L'eventuale interesse pubblico da tutelare riguarderebbe le persone in contatto con il sospettato e a rischio di diventare la sua prossima vittima, ma questo rischio è disciplinato dall'eventuale custodia cautelare)


Se invece il Governatore della Banca d'Italia viene intercettato mentre viene meno al proprio ruolo e distorce la concorrenza, il pubblico ha diritto di saperlo. E ce l'ha anche se alla fine il suo comportamento non configurasse un reato: ha diritto di saperlo chi lo ha eletto, perchè lo ha fatto per affidargli un mandato di arbitro imparziale che in quel momento viene tradito; e ha diritto di saperlo l'intera comunità finanziaria, dagli operatori ai clienti, perchè quel comportamento compromette i loro interessi.


Allo stesso modo, se un politico che è sceso in piazza al Family Day, ha chiesto voti per difendere la famiglia tradizionale e sta preparando un disegno di legge contro la prostituzione, viene intercettato mentre commenta le prestazioni della sera prima con una mignotta, il pubblico ha diritto di saperlo. E quel diritto ce l'hanno per primi i suoi elettori.


Poi è evidente che non è per questo che si richiedono le intercettazioni. Ma nel momento in cui un'operazione di rilevanza penale fa emergere elementi di rilevanza sociale, è giusto che questi vengano condivisi.


(E no, il fatto che una donna qualsiasi abbia abortito non è una notizia di rilevanza sociale. E ci arriva chiunque sia in buona fede e non sia Giovanardi.)

Found

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(Chi non avesse visto l'ultima puntata non si preoccupi, non e' uno spoiler. Ma se siete paranoici, e vi capisco, evitate di leggere oltre.)

La fine e' meravigliosa, e banale. Perche' alla fine era la loro storia: una storia di persone. 

Tutto il resto, l'Isola, Dharma, gli orsi polari, non e' che non contassero, come dice qualcuno. Non erano un modo per divagare, tirarla in lungo e coglionare gli spettatori. 
Erano il contesto, e qualcosa di piu': senza quel contesto, quello li', non ci sarebbe stata la crescita, la formazione. E Lost e' innanzitutto un romanzo di formazione.
Di persone sole, che si erano perse. E che alla fine si sono ritrovate, insieme.


Cosa rimane dopo The End?
Sicuramente una televisione diversa dal 2004. Lost ne ha rilanciato le ambizioni, e le ha consegnato una parola, "epica", che fino a quel momento era stata patrimonio della letteratura e del cinema.

Ma si tratta solo di questo, di televisione?
Altre serie hanno avuto un impatto ben piu' significativo nel mondo reale: da alcuni anni i procuratori americani si lamentano dell'effetto-CSI, ovvero della renitenza delle giurie popolari a condannare qualcuno in assenza di prove scientifiche schiaccianti; 24 ha giustificato un approccio Cheneyano al terrorismo e ad alcuni temi ad esso collegati, come la tortura, ma ha anche preparato il terreno per l'elezione di un Presidente nero.

Ecco, nonostante questo, nonostante siano state in grado di cambiare qualcosina del mondo fuori dallo scatolotto televisivo, CSI e 24 sono soltanto quello: televisione. Con il proprio spin-off nel mondo dei videogame, e poco altro.  
Non hanno un popolo. Lost ce l'ha.


E torniamo a quello: Lost e' una storia di persone. 
I Losties, che hanno fatto Lost dentro lo schermo. E noi, che lo abbiamo fatto fuori.

E allora, la riflessione di The End tocca anche a noi: cos'abbiamo imparato da Lost? Cosa ci hanno lasciato quelle ore passate a discuterne, a leggere, a scrivere, a ricostruire, a speculare? 

Lost e' stato la nostra isola?

Forse e' stato soprattutto questo. Io credo che sia vero che alcuni elementi di queste sei stagioni non fossero necessari per la salvezza dei Losties.
Ma lo erano per la nostra. Per il nostro romanzo di formazione.
Di noi che siamo spesso soli, e persi. E che abbiamo ricevuto alcuni attimi in cui ci siamo ritrovati. Insieme.


venerdì 21 maggio 2010

Aridaje

Pd Open by PDnetwork.

Arrivo in ritardo nella discussione riguardo la comunicazione dell'iniziativa su cui Bersani tanto punta per rilanciare il PD nell'agenda politica italiana, e su cui ha incentrato questi due giorni di direzione, PdOpen.
Le reazioni principali sono raccolte sul Post (qui e qui), a cui sono aggiunte una nota di Civati e gli spari sulla Croce Rossa di Damilano.
Tutte reazioni fin troppo ragionevoli, ma mi sembra che su almeno tre questioni non colgano il punto:

Il nome
Che sia inglese mi scandalizza poco, almeno è più comprensibile di "I Care". Il punto è che è, come dire, triste.Non trovo un modo migliore per dirlo. O meglio, ci sarebbe una parola migliore per descrivo, ma per ironia della sorte è inglese: "lame". 
E c'è una considerazione di fondo che va trapanata nelle teste di chiunque si occupi di comunicazione: "don't tell me you're funny, tell me a joke". Se vuoi dire che sei un partito aperto, non devi necessariamente usare la parola "open". Devi darti uno slogan aperto. 
(Uno dei migliori payoff mai approvati da una banca, che resta ancora un mio rimpianto professionale, era: "Passa quando vuoi").

Gli annunci
"Università e ricerca. Ultimo appello". 
"Green Economy. In italiano: un affare pulito." 
"Etica pubblica: nelle favole la morale arriva alla fine, in politica all'inizio". (E a seguire qui)
Sono carini? Forse, magari. Ma non significano un cazzo. Zero. Nada.
La comunicazione politica ha molte ambizioni, e per avere qualche chance di soddisfarle le headline devono essere semplici e indicare una direzione verso cui costruire consenso. Il problema dei giochi di parole è che per definizione non sono immediati, e vanno usati con cautela. Quando poi non vogliono dire niente, non si capisce nemmeno perchè usarli.
Poi io capisco anche che al momento non ci siano punti programmatici definiti: il percorso che si apre con PDopen serve appunto a questo, a definirli. Ma allora perchè fare una comunicazione di programma? Se l'idea è il percorso, fai una comunicazione sul percorso. Su un partito che ti invita a raccontare l'Italia che vorresti fra 5 anni. Se no stai zitto finchè non hai in mano qualcosa da dire.

Il sondaggio
Quello di cui si parla qui. Ora, non mi sembra scandaloso che il PD commissioni un sondaggio per capire di che immagine goda presso gli italiani, mi sembrerebbe strano non farlo.
Quello che mi lascia esterrefatto è che si sorprendano di risultare "schiacciati sulla conservazione". 
Ma su che pianeta vivono?!
Ma da un partito che è nato per mettere insieme due anime della politica del secolo scorso, e il cui segretario ha vinto il congresso con lo slogan "dare un senso a questa Storia", cos'altro potevano aspettarsi?!?!

Poi uno dice "i professionisti della politica"...


Update: ecco, scusa, mancavo questo. Appunto.

sabato 24 aprile 2010

Ci siamo quasi...

"Given that climate change is one of the biggest global threats we face, what have you personally done in the last six months to use more environmentally friendly and sustainable forms of transport, such as bikes and trains, rather than cars and planes?"
(dal secondo dibattito Brown-Cameron-Clegg, via BBC)


E Berlusconi regala un SUV a La Russa. "Sapevo che stava per acquistarne uno..."
(dopo la direzione nazionale del PdL, via Repubblica)

venerdì 23 aprile 2010

Where's my jetpack?

"4. Quite the opposite. The life insurance was in case you died."
"9. We called them developing nations."
"13. Twitter? It was a bit like sending a postcard."
"16. Yes, Belgium was a country back then."


Fra le 50 cose che ci potrebbe capitare di dire in futuro...

giovedì 22 aprile 2010

Una mappatura semiotica della politica italiana

Qualcuno che non ricordo da qualche parte che non riesco a ritrovare suggeriva che il vero conflitto in Italia non sia fra destra e sinistra, ma fra innovazione e tradizione. L'ipotesi in sè mi convince poco, sia perchè rischia di produrre equivoci, sia perchè nel caso specifico ho difficoltà ad individuare nell'Italia di oggi la fazione dell'innovazione, ma mi sembra comunque uno spunto interessante per un'analisi un pò diversa dalle solite.
Ho pensato quindi di prendere a prestito il quadrato semiotico, che offre una chiave di lettura solida ed al tempo stesso duttile, e di costruire una mappa di posizionamento dei soggetti politici italiani a partire dal concetto di "modernità" (che ha caratteristiche di valore, mentre l'innovazione è un processo).
Per chi non avesse familiarità con Greimas, rimando a Wikipedia, ma queste poche righe di spiegazione dovrebbero essere sufficienti a capire i criteri di classificazione.
Partendo da "moderno", si individua il termine contraddittorio in"tradizionale" (= non moderno)
"Tradizionale" implica il concetto di "archetipico" (le cose come dovrebbero essere "secondo Natura"), che ha un rapporto di contrarietà a "moderno"
Per finire, "archetipico" è in rapporto di contraddizione con "industriale" (le cose come fatte dall'uomo), che implica "moderno".






Su questa mappa sono andato a posizionare i soggetti politici italiani, sulla base delle loro attuali piattaforme, dei valori, dell'immagine veicolata e del percepito. 
Ne escono considerazioni interessanti, fatte salve due premesse: la prima è che è il processo di posizionamento è inevitabilmente arbitrario, seppur fondato su elementi ragionati che riporto in sintesi; la seconda è che ho preso in considerazione solo il rapporto con la modernita', senza pretendere di riassumere l'intera identita' degli attori oggetto d'analisi. 
Per questo motivo ci sono PdL, Lega, UdC e PD, oltre alla Chiesa (che e' indiscutibilmente un soggetto politico) mentre manca ad esempio Di Pietro, il cui rapporto con modernita' e tradizione e' indefinibile, e gia' questo e' significativo.
(Manca anche la sinistra extraparlamentare perche' marginale ed eterogenea: a titolo di nota, si andrebbe da Rifondazione e Pecoraro Scanio in basso a destra a Vendola nella direzione opposta)




Il soggetto più interessante è la Lega, che ha consolidato con gli anni un profilo di partito tradizionale, del genius loci e dei bei tempi andati. In questo modo e' stata in grado di raccogliere consenso su tutti i temi in cui la modernita' solleva aspetti critici, dall'immigrazione all'export agli OGM.
Negli  ultimi anni poi la difesa delle origini e' diventata una rivendicazione pre-politica ("Padroni a casa nostra"), un principio da difendere a prescindere dalle considerazioni di merito. In questo modo sta schiacciando l'acceleratore verso una posizione di contrarieta' aprioristica alla modernita', in difesa delle "cose fatte secondo Natura" (dall'agricoltura alla sessualità).


Non a caso si trova spesso a fianco della Chiesa, che rappresenta il soggetto anti-moderno e archetipico per eccellenza: non solo e non tanto in quanto istituzione millennaria, ma perche' custode di una Verita' trascendente e pre-storica. Questo spiega, fra le altre cose, il conflitto in cui si trova la Chiesa tutte le volte in cui l'irrompere della modernita' chiama in causa l'adesione ai valori del Vangelo, come nel caso dell'immigrazione: scatta un corto circuito per cui l'istituzione che rappresenta la continuita' ritiene di non potersi permettere di invitare i fedeli a cambiare punti di vista e abitudini. D'altronde, chi e' portatore di una Verita' che e' sempre stata e sempre sara' come puo' farsi influenzare da cio' che e' oggi?


Per continuità ideologica arriviamo all'UdC, che sta lì dove si deve trovare per DNA cattolico e democristiano e dove nessuno ha bisogno che stia. I fantomatici moderati italiani hanno a disposizione partiti ben più consistenti ed altrettanto entusiasti di difenderne le radici tradizionali, ed in compenso questo ancoramento all'identità cattolica, intesa come difesa delle forme cristiane e non dei valori evangelici, impedisce a Casini di giocare il ruolo di terza forza propulsiva in grado di rilanciare laicamente i temi su cui i partiti principali non sanno o non vogliono impegnarsi, o assumono posizioni pregiudiziali. (a differenza di Clegg in Inghilterra)


Il PdL crea qualche problema in più, perchè la coerenza non è propriamente un tratto distintivo di Berlusconi. Nel complesso credo che il partito offra una sintesi, spesso incoerente, fra l'istinto del fondatore e le tendenze cattolico-tradizionaliste dovute in parte al retaggio di alcuni suoi componenti ed in parte a calcoli elettorali. Se queste ultime spingono il partito verso le posizioni più retrograde sui temi etici, è anche vero che per Berlusconi il tempo si è fermato agli anni '80, e non a caso la sua visione politica è fatta di liberismo reaganiano e ossessione dei comunisti. Se consideriamo che quella è stata l'ultima fase di modernizzazione del Paese e che Forza Italia aveva inizialmente imbarcato alcune forze genuinamente interessate ad attrezzarsi per il futuro, otteniamo un posizionamento quasi centrale, seppur soggetto ormai da anni ad una crescente forza di gravità tradizionalista.
In questo processo è evidente che le ambizioni modernizzatrici di Fini siano abbastanza velleitarie: al di là degli avvenimenti di questi giorni, i suoi ripetuti tentativi di dare al PdL un profilo di destra europea sono in contraddizione con il percorso compiuto dal partito e dalla coalizione.
Non a caso insieme ai temi di merito Fini pone il problema del rapporto con la Lega, che sta da tutt'altra parte. Il problema è che lì dov'è la Lega sta bene, raccoglie consenso, e più evolverà da "sindacato del Nord" a "sindacato degli italiani" più si incardinerà su valori di opposizione alla modernità. 
Sempre che non cambino gli italiani, e qui arriviamo al partito che dovrebbe darsi quest'ambizione. 


Il PD è legato a valori industriali non perchè operaio, ma perchè è ancora un partito del Novecento per uomini e chiavi di lettura della società. (Ma non più per capacità di mobilitazione). Gli è nata la modernità intorno senza che se ne rendesse conto, e per questo ha un ritardo storico nel capire il precariato, l'immigrazione, il rapporto fra diritti individuali e tradizioni collettive, e tutti i temi posti dal XXI secolo.
Non avendoli capiti, non è stato in grado di fornire agli italiani una chiave d'interpretazione diversa da quel ripiegamento nel proprio ombelico e in un passato più facile proposto dal centrodestra.


C'è di buono che l'opportunità per il PD è chiara: c'è uno spazio politico a disposizione di una forza moderna, di cui l'Italia ha un disperato bisogno.
Se nessuno mette in luce le opportunità della contemporaneità, gli italiani continueranno a rifugiarsi nella rassicurazione seducente delle tradizioni di cortile. E lì non c'è storia, vincono gli altri. E lasciamolo pure, quello spazio.
Non è lì che si fa il futuro. Non è lì che si costruisce un Paese più forte.


E' in quello spazio dove oggi non c'è nessuno che si va oltre il precariato. 
Che si trova il modo di competere nell'economia della conoscenza.
Che si conciliano le libertà e le responsabilità individuali.


Ma lì non ci si va con l'UdC, che per ragione sociale sta da tutt'altra parte.


Lì ci può andare solo il PD, perchè quel passaggio è già implicito nel suo percorso logico.
E ci può andare con quella parte d'Italia che non gli chiude gli occhi di fronte al XXI secolo, ma ha l'ambizione e la lucidità di abbracciarlo.

mercoledì 21 aprile 2010

Se ne sono accorti anche qui...


Clegg, la sorpresa dei sondaggi
"Ma non sono l'Obama inglese"

Clegg, la sorpresa dei sondaggi "Ma non sono l'Obama inglese"Intervista al leader lib-dem: "Basta con destra e sinistra, serve altro". E sull'ascesa nei sondaggi: "Non è un consenso improvviso: 5 anni fa il 40% dei britannici non ha votato né per i Tories né per il Labour". Politica estera: "Basta sacrificare tutto per gli Usa" dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI


Per una volta una bell'intervista fuori dal nostro cortile, e poi mi scadono sulla solita domanda di un provincialismo imbarazzante:"E dell'Italia cosa dice"?
Con risposta copia e incolla da milioni di interviste passate: partner importante, immigrazione, lotta alla criminalita', blah blah... (Aggiungere "Europa" in caso di leader sotto la Manica)
Che e' la variante uomo politico del modello Hollywood: paese stupendo, il sole, il mare, il cibo, Sofia Loren, Fellini... (Aggiungere Rossellini in caso di soggetto con ambizioni intellettuali)


E con questo chiudo il trittico brittanico.

lunedì 19 aprile 2010

All together



Sono passati alcuni giorni dal primo dibattito televisivo fra i candidati alle politiche inglesi (primo di una serie di tre, ma anche primo di sempre), e qui qualcuno inizia a preoccuparsi.
Una settimana fa le previsioni oscillavano fra una piena vittoria di Cameron ed una mezza vittoria sempre di Cameron, che gli avrebbe consegnato la maggioranza dei voti ma non dei seggi. 
L'ottima prestazione di Clegg sembra essersi tradotta in intenzioni di voto (a dispetto di quanto pensassi), e questo potrebbe riaprire i giochi.


Da qui al 6 Maggio c'e' ancora tempo (ma neanche tanto rispetto alle nostre campagne elettorali infinite) ed il consenso per i Lib-Dem puo' dimostrarsi solo una breve bolla mediatica, ma l'impressione e' che i Tories si siano trovati una bella gatta da pelare, ed il Labour sia al momento un po' confuso: Cameron e' costretto infatti ad attaccare Clegg che lo ha scavalcato sul versante del cambiamento, e questo da una parte gli sottrae energie che avrebbe altrimenti investito contro il Labour e dall'altra gli rende piu' difficile conservare il profilo da primo ministro in pectore; Brown e' ben contento di questo, ma sa anche che i Lib-Dem rischiano di sottrargli voti preziosi nei collegi in bilico, e quindi non gli resta che sperare che Cameron si logori in uno scontro con Clegg, per poi coglierne i frutti.


Il prossimo dibattito, dedicato alla politica estera, sara' il primo banco di prova delle ambizioni dei tre, e per una bella coincidenza stavolta la posizione centrale e' destinata proprio a Clegg. Con ogni probabilita' si trovera' sotto il fuoco incrociato di Cameron e Brown, che lo accuseranno di essere troppo europeista e di manica larga verso l'immigrazione. Un atteggiamento di questo tipo fornirebbe pero' a Clegg due vantaggi: da una parte gli conferirebbe ulteriore centralita' nel dibattito, cosa finora impensabile per un candidato Lib-Dem; dall'altra gli permetterebbe di far emergere le contraddizioni di Tories e Labour proprio su questi due temi, a cui opporre la trasparenza delle posizioni liberal-democratiche, come ha gia' fatto nel primo dibattito sui temi di politica economica.


Insomma, una campagna elettorale che si annunciava scontata e noiosa tutt'a un tratto si e' inventata dei fuochi d'artificio che potrebbero mettere in crisi lo storico modello bipolare di Westminster, e anche a sinistra c'e' chi fa il tifo per il terzo incomodo. O meglio, per il modo in cui la sua presenza potrebbe mettere sul tavolo argomenti che Tories e Labour hanno rinunciato da tempo ad affrontare con chiarezza, a partire dalla politica europea.


Se vi suona familiare, date un colpo di telefono a Casini.