lunedì 17 ottobre 2011

Questione di distanze

Nota a distanza sulla manifestazione di Roma, e conseguenti casini: non c'era niente di imprevedibile.
Quello che ancora mi sorprende, ma si vede che sono fesso io, sono le reazioni di chi chiede ai manifestanti di "prendere le distanze" dai violenti. Reazioni distribuite un po' ovunque, ma soprattutto a sinistra, dato che la destra piu' cialtrona non fa differenze fra manifestanti e violenti, e quindi non sta a porsi il problema. E almeno in questo e' intellettualmente piu' onesta (pensa te...)

Chiariamoci una volta per tutte: chiedere di "prendere le distanze dai violenti" e' una richiesta inammissibile perche' implica una continuita' fra chi scende in piazza pacificamente e chi li' di fianco si mette a sfasciare vetrine. E non e' questo il caso di Roma. Ha ragione Costa a dire che c'e' una deriva preoccupante dell'estremismo di sinistra (ma non solo) di cui si trovano abbondanti tracce online, ma il punto e' proprio questo: c'e' una galassia di gruppi violenti che approfitta di ogni occasione per infiltrarsi nelle manifestazioni e sfasciare quel che trova. Lo rispiego: ci sono dei gruppi di criminali che approfittano di eventi pubblici organizzati in luoghi pubblici per disturbare l'ordine pubblico. Contrastarli e' una responsabilita' della forza pubblica. Per definizione.
Poi si puo' chiedere ai manifestanti di cercare di individuare queste persone e denunciarle (qualcuno a Roma ha anche provato a fermarli, e si e' preso un fracco di botte) ma perche' e' loro interesse, o perche' e' la cosa giusta da fare: non perche' e' loro responsabilita'.
La responsabilita' dell'ordine pubblico e' della forza pubblica, ed e' alla polizia che dovremmo cominciare a chiedere spiegazioni e risultati. Lo facciamo quando si tratta di lotta alla camorra, che e' ben piu' complessa, non vedo perche' dovremmo smettere di farlo quando si tratta di criminali comuni di cui si trovano nomi, piani e reati nero su bianco online.
Oppure decidiamo che ognuno e' responsabile della propria sicurezza, e allora ci si fa il proprio servizio d'ordine e la propria ronda, che non e' che le due cose siano tanto diverse.

Tanto per guardare le cose da una certa distanza, qui in Inghilterra non esistono reazioni del genere. La differenza non sta nel fatto che Occupy London e' stata pacifica: un annetto fa le manifestazioni degli studenti universitari sono state comunque segnate da episodi di violenza.
La differenza sta nel fatto che nessuno si sogna di stabilire legami di corresponsabilita' fra i manifestanti pacifici e i violenti, e pure i tabloid, che il giorno dopo strillano titoli di scandalo sui danni alla citta', non si sognerebbero certo di fare una copertina del genere. Cosi' come a nessuno e' venuto in mente di chiedere ai cittadini di Hackney di prendere le distanze dai violenti, nei giorni in cui alcuni ragazzi mettevano il quartiere a ferro e fuoco.

Sara' che qui non ci sono le scorie degli anni '70. (Ma quando la pianteremo di continuare a evocarli e sentircene segnati? Chi e' sceso in piazza a Roma manco li ha visti, eppure dovrebbe in qualche modo esserne condizionato...)
Sara' che qui si tiene in grande rispetto la responsabilita' individuale, un concetto che in Italia non ha mai fatto grande presa.
Sara' che si ritiene di voler entrare nel merito, un'altra cosa che l'Italia lascia alla frontiera, preferendo invece dividersi su questioni di principio, su cui si possono stendere lunghi editoriali senza neanche fare la fatica di uscire di casa.
Secondo me c'e' anche il fatto che ormai si e' perso il rispetto per le manifestazioni in se': la destra non l'ha mai avuto (tranne quando c'era da mandare a casa Prodi); la sinistra l'ha lasciato negli scatoloni del passato per un'ansia d'innovazione mal indirizzata, e ormai manco lo capisce piu', cosa sia una manifestazione.
Ogni volta che ne viene convocata una, subito i commentatori di sinistra vecchi e giovani scattano in una reazione automatica, uno sbuffare, un "a cosa serve?", una sorta di disgusto verso una cosa tanto nazional-popolare e incapace di risolvere i problemi del mondo.
Senza capire che e' solo uno strumento, fra i tanti, e che a nessuno strumento da solo si puo' chiedere di risolvere, che so, di rimettere in piedi l'economia. Da solo. Da un giorno all'altro.
Alle manifestazioni si puo' chiedere solo che svolgano il proprio ruolo: mettere sul piatto un problema.
Proporre la soluzione sta a chi ha gli strumenti e la competenza per farlo.
(In altre parole, creano un terreno fertile: la semina sta ad altri, e se mesi dopo non cresce niente non vai a prendertela con il sole e l'acqua, ma con l'agricoltore.)
Chiedere ai manifestanti di fare entrambe le cose e' l'ennesimo sintomo dell'incompetenza di una classe dirigente che vuole la pappa pronta, e non sa farsi carico del proprio ruolo.
O che semplicemente pensa che il ruolo della gente sia di andare a votare ogni cinque anni, e non fare troppo casino nel frattempo.
Che poi sarebbe a sua volta il simbolo di un'altra mediocrita' della classe politica di sinistra: farsi dettare i termini delle questioni dalla destra; rinunciare ai propri strumenti e al proprio spirito per una fraintesa idea di modernita'; e poi sorprendersi quando si volta e scopre che l'hanno rimasta sola. Quei quattro cornuti dei loro elettori.

venerdì 7 ottobre 2011

La chiusura del triangolo.

Due perle, da qui:

Il giornalismo inglese, che sa raccontare un intero Paese in un titolo:



E la lingua francese, per la grande lungimiranza con cui decenni (secoli?) fa ha generato l'equivalente di "gnocca"