sabato 24 aprile 2010

Ci siamo quasi...

"Given that climate change is one of the biggest global threats we face, what have you personally done in the last six months to use more environmentally friendly and sustainable forms of transport, such as bikes and trains, rather than cars and planes?"
(dal secondo dibattito Brown-Cameron-Clegg, via BBC)


E Berlusconi regala un SUV a La Russa. "Sapevo che stava per acquistarne uno..."
(dopo la direzione nazionale del PdL, via Repubblica)

venerdì 23 aprile 2010

Where's my jetpack?

"4. Quite the opposite. The life insurance was in case you died."
"9. We called them developing nations."
"13. Twitter? It was a bit like sending a postcard."
"16. Yes, Belgium was a country back then."


Fra le 50 cose che ci potrebbe capitare di dire in futuro...

giovedì 22 aprile 2010

Una mappatura semiotica della politica italiana

Qualcuno che non ricordo da qualche parte che non riesco a ritrovare suggeriva che il vero conflitto in Italia non sia fra destra e sinistra, ma fra innovazione e tradizione. L'ipotesi in sè mi convince poco, sia perchè rischia di produrre equivoci, sia perchè nel caso specifico ho difficoltà ad individuare nell'Italia di oggi la fazione dell'innovazione, ma mi sembra comunque uno spunto interessante per un'analisi un pò diversa dalle solite.
Ho pensato quindi di prendere a prestito il quadrato semiotico, che offre una chiave di lettura solida ed al tempo stesso duttile, e di costruire una mappa di posizionamento dei soggetti politici italiani a partire dal concetto di "modernità" (che ha caratteristiche di valore, mentre l'innovazione è un processo).
Per chi non avesse familiarità con Greimas, rimando a Wikipedia, ma queste poche righe di spiegazione dovrebbero essere sufficienti a capire i criteri di classificazione.
Partendo da "moderno", si individua il termine contraddittorio in"tradizionale" (= non moderno)
"Tradizionale" implica il concetto di "archetipico" (le cose come dovrebbero essere "secondo Natura"), che ha un rapporto di contrarietà a "moderno"
Per finire, "archetipico" è in rapporto di contraddizione con "industriale" (le cose come fatte dall'uomo), che implica "moderno".






Su questa mappa sono andato a posizionare i soggetti politici italiani, sulla base delle loro attuali piattaforme, dei valori, dell'immagine veicolata e del percepito. 
Ne escono considerazioni interessanti, fatte salve due premesse: la prima è che è il processo di posizionamento è inevitabilmente arbitrario, seppur fondato su elementi ragionati che riporto in sintesi; la seconda è che ho preso in considerazione solo il rapporto con la modernita', senza pretendere di riassumere l'intera identita' degli attori oggetto d'analisi. 
Per questo motivo ci sono PdL, Lega, UdC e PD, oltre alla Chiesa (che e' indiscutibilmente un soggetto politico) mentre manca ad esempio Di Pietro, il cui rapporto con modernita' e tradizione e' indefinibile, e gia' questo e' significativo.
(Manca anche la sinistra extraparlamentare perche' marginale ed eterogenea: a titolo di nota, si andrebbe da Rifondazione e Pecoraro Scanio in basso a destra a Vendola nella direzione opposta)




Il soggetto più interessante è la Lega, che ha consolidato con gli anni un profilo di partito tradizionale, del genius loci e dei bei tempi andati. In questo modo e' stata in grado di raccogliere consenso su tutti i temi in cui la modernita' solleva aspetti critici, dall'immigrazione all'export agli OGM.
Negli  ultimi anni poi la difesa delle origini e' diventata una rivendicazione pre-politica ("Padroni a casa nostra"), un principio da difendere a prescindere dalle considerazioni di merito. In questo modo sta schiacciando l'acceleratore verso una posizione di contrarieta' aprioristica alla modernita', in difesa delle "cose fatte secondo Natura" (dall'agricoltura alla sessualità).


Non a caso si trova spesso a fianco della Chiesa, che rappresenta il soggetto anti-moderno e archetipico per eccellenza: non solo e non tanto in quanto istituzione millennaria, ma perche' custode di una Verita' trascendente e pre-storica. Questo spiega, fra le altre cose, il conflitto in cui si trova la Chiesa tutte le volte in cui l'irrompere della modernita' chiama in causa l'adesione ai valori del Vangelo, come nel caso dell'immigrazione: scatta un corto circuito per cui l'istituzione che rappresenta la continuita' ritiene di non potersi permettere di invitare i fedeli a cambiare punti di vista e abitudini. D'altronde, chi e' portatore di una Verita' che e' sempre stata e sempre sara' come puo' farsi influenzare da cio' che e' oggi?


Per continuità ideologica arriviamo all'UdC, che sta lì dove si deve trovare per DNA cattolico e democristiano e dove nessuno ha bisogno che stia. I fantomatici moderati italiani hanno a disposizione partiti ben più consistenti ed altrettanto entusiasti di difenderne le radici tradizionali, ed in compenso questo ancoramento all'identità cattolica, intesa come difesa delle forme cristiane e non dei valori evangelici, impedisce a Casini di giocare il ruolo di terza forza propulsiva in grado di rilanciare laicamente i temi su cui i partiti principali non sanno o non vogliono impegnarsi, o assumono posizioni pregiudiziali. (a differenza di Clegg in Inghilterra)


Il PdL crea qualche problema in più, perchè la coerenza non è propriamente un tratto distintivo di Berlusconi. Nel complesso credo che il partito offra una sintesi, spesso incoerente, fra l'istinto del fondatore e le tendenze cattolico-tradizionaliste dovute in parte al retaggio di alcuni suoi componenti ed in parte a calcoli elettorali. Se queste ultime spingono il partito verso le posizioni più retrograde sui temi etici, è anche vero che per Berlusconi il tempo si è fermato agli anni '80, e non a caso la sua visione politica è fatta di liberismo reaganiano e ossessione dei comunisti. Se consideriamo che quella è stata l'ultima fase di modernizzazione del Paese e che Forza Italia aveva inizialmente imbarcato alcune forze genuinamente interessate ad attrezzarsi per il futuro, otteniamo un posizionamento quasi centrale, seppur soggetto ormai da anni ad una crescente forza di gravità tradizionalista.
In questo processo è evidente che le ambizioni modernizzatrici di Fini siano abbastanza velleitarie: al di là degli avvenimenti di questi giorni, i suoi ripetuti tentativi di dare al PdL un profilo di destra europea sono in contraddizione con il percorso compiuto dal partito e dalla coalizione.
Non a caso insieme ai temi di merito Fini pone il problema del rapporto con la Lega, che sta da tutt'altra parte. Il problema è che lì dov'è la Lega sta bene, raccoglie consenso, e più evolverà da "sindacato del Nord" a "sindacato degli italiani" più si incardinerà su valori di opposizione alla modernità. 
Sempre che non cambino gli italiani, e qui arriviamo al partito che dovrebbe darsi quest'ambizione. 


Il PD è legato a valori industriali non perchè operaio, ma perchè è ancora un partito del Novecento per uomini e chiavi di lettura della società. (Ma non più per capacità di mobilitazione). Gli è nata la modernità intorno senza che se ne rendesse conto, e per questo ha un ritardo storico nel capire il precariato, l'immigrazione, il rapporto fra diritti individuali e tradizioni collettive, e tutti i temi posti dal XXI secolo.
Non avendoli capiti, non è stato in grado di fornire agli italiani una chiave d'interpretazione diversa da quel ripiegamento nel proprio ombelico e in un passato più facile proposto dal centrodestra.


C'è di buono che l'opportunità per il PD è chiara: c'è uno spazio politico a disposizione di una forza moderna, di cui l'Italia ha un disperato bisogno.
Se nessuno mette in luce le opportunità della contemporaneità, gli italiani continueranno a rifugiarsi nella rassicurazione seducente delle tradizioni di cortile. E lì non c'è storia, vincono gli altri. E lasciamolo pure, quello spazio.
Non è lì che si fa il futuro. Non è lì che si costruisce un Paese più forte.


E' in quello spazio dove oggi non c'è nessuno che si va oltre il precariato. 
Che si trova il modo di competere nell'economia della conoscenza.
Che si conciliano le libertà e le responsabilità individuali.


Ma lì non ci si va con l'UdC, che per ragione sociale sta da tutt'altra parte.


Lì ci può andare solo il PD, perchè quel passaggio è già implicito nel suo percorso logico.
E ci può andare con quella parte d'Italia che non gli chiude gli occhi di fronte al XXI secolo, ma ha l'ambizione e la lucidità di abbracciarlo.

mercoledì 21 aprile 2010

Se ne sono accorti anche qui...


Clegg, la sorpresa dei sondaggi
"Ma non sono l'Obama inglese"

Clegg, la sorpresa dei sondaggi "Ma non sono l'Obama inglese"Intervista al leader lib-dem: "Basta con destra e sinistra, serve altro". E sull'ascesa nei sondaggi: "Non è un consenso improvviso: 5 anni fa il 40% dei britannici non ha votato né per i Tories né per il Labour". Politica estera: "Basta sacrificare tutto per gli Usa" dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI


Per una volta una bell'intervista fuori dal nostro cortile, e poi mi scadono sulla solita domanda di un provincialismo imbarazzante:"E dell'Italia cosa dice"?
Con risposta copia e incolla da milioni di interviste passate: partner importante, immigrazione, lotta alla criminalita', blah blah... (Aggiungere "Europa" in caso di leader sotto la Manica)
Che e' la variante uomo politico del modello Hollywood: paese stupendo, il sole, il mare, il cibo, Sofia Loren, Fellini... (Aggiungere Rossellini in caso di soggetto con ambizioni intellettuali)


E con questo chiudo il trittico brittanico.

lunedì 19 aprile 2010

All together



Sono passati alcuni giorni dal primo dibattito televisivo fra i candidati alle politiche inglesi (primo di una serie di tre, ma anche primo di sempre), e qui qualcuno inizia a preoccuparsi.
Una settimana fa le previsioni oscillavano fra una piena vittoria di Cameron ed una mezza vittoria sempre di Cameron, che gli avrebbe consegnato la maggioranza dei voti ma non dei seggi. 
L'ottima prestazione di Clegg sembra essersi tradotta in intenzioni di voto (a dispetto di quanto pensassi), e questo potrebbe riaprire i giochi.


Da qui al 6 Maggio c'e' ancora tempo (ma neanche tanto rispetto alle nostre campagne elettorali infinite) ed il consenso per i Lib-Dem puo' dimostrarsi solo una breve bolla mediatica, ma l'impressione e' che i Tories si siano trovati una bella gatta da pelare, ed il Labour sia al momento un po' confuso: Cameron e' costretto infatti ad attaccare Clegg che lo ha scavalcato sul versante del cambiamento, e questo da una parte gli sottrae energie che avrebbe altrimenti investito contro il Labour e dall'altra gli rende piu' difficile conservare il profilo da primo ministro in pectore; Brown e' ben contento di questo, ma sa anche che i Lib-Dem rischiano di sottrargli voti preziosi nei collegi in bilico, e quindi non gli resta che sperare che Cameron si logori in uno scontro con Clegg, per poi coglierne i frutti.


Il prossimo dibattito, dedicato alla politica estera, sara' il primo banco di prova delle ambizioni dei tre, e per una bella coincidenza stavolta la posizione centrale e' destinata proprio a Clegg. Con ogni probabilita' si trovera' sotto il fuoco incrociato di Cameron e Brown, che lo accuseranno di essere troppo europeista e di manica larga verso l'immigrazione. Un atteggiamento di questo tipo fornirebbe pero' a Clegg due vantaggi: da una parte gli conferirebbe ulteriore centralita' nel dibattito, cosa finora impensabile per un candidato Lib-Dem; dall'altra gli permetterebbe di far emergere le contraddizioni di Tories e Labour proprio su questi due temi, a cui opporre la trasparenza delle posizioni liberal-democratiche, come ha gia' fatto nel primo dibattito sui temi di politica economica.


Insomma, una campagna elettorale che si annunciava scontata e noiosa tutt'a un tratto si e' inventata dei fuochi d'artificio che potrebbero mettere in crisi lo storico modello bipolare di Westminster, e anche a sinistra c'e' chi fa il tifo per il terzo incomodo. O meglio, per il modo in cui la sua presenza potrebbe mettere sul tavolo argomenti che Tories e Labour hanno rinunciato da tempo ad affrontare con chiarezza, a partire dalla politica europea.


Se vi suona familiare, date un colpo di telefono a Casini.

venerdì 16 aprile 2010

Oltremanica il terzo gode



Per chi se lo fosse perso (immagino tutti), ieri sera c'e' stato il primo dibattito fra Brown (Labour), Cameron (Tories) e Clegg (Lib-Dem).

Le mie impressioni al termine erano queste, e mi sembrano confermate dalle analisi di oggi:


  1. Un dibattito cosi' in Italia ce lo scordiamo: niente urla e accuse di comunismo, botta e risposta frenetico (anche troppo) che permetteva agli avversari di replicare e scoprire i bluff, discussioni di merito con consapevolezza di dati e tendenze e cinque minuti di discussione sul cancro senza che a nessuno sia venuto in mente di promettere la cura entro il 2013. Ma che ve lo dico a fare?
  2. Detto questo, tutto il mondo e' Paese e i livelli di gradimento piu' alti, certificati con campione e manopolona, sono arrivati quando si parlava di limiti all'imigrazione e lotta alla piccola criminalita'.
  3. Nel merito, il dibattito mi e' sembrato poco ispirato, piu' da elezioni municipali che politiche. Credo dipenda da motivi in parte struttuali (un senso di umilta' che permea tutta la politica inglese) e in parte contestuali (lo scandalo dei rimborsi spese ha affossato la credibilita' del Parlamento, e la crisi non ha aiutato), ma non si e' vista una visione progettuale per il Regno Unito
  4. Quello che piu' mi ha deluso, proprio per questo motivo, e' stato Cameron. E' arrivato al dibattito in testa ai sondaggi, sull'ondra una posizione di forza maturata ormai da mesi se non anni, e mi aspettavo che approfittasse dell'occasione per comportarsi da leader e marcare una differenza con gli altri candidati: invece si e' fatto trascinare nella frenesia e nelle contrapposizioni del dibattito, senza riuscire a dare spazio alla propria visione del futuro, che aveva argomentato molto bene in altre occasioni.
  5. Brown  ha preso meno schiaffi di quanto si temesse: e' noioso e sembra spesso sulla difensiva, ma e' riuscito a rivendicare alcuni risultati per il suo governo, e soprattutto e' stato in grado di spostare continuamente il dibattito sull'economia e sulla necessita' di continuare a sostenere l'economia, un punto chiave cui Cameron non e' riuscito ad opporre la propria visione.
  6. Alla fine, paradossalmente quello che mi ha convinto di piu' e' stato Clegg. Finora pressoche' sconosciuto, con la faccia di quello da cui non compreresti mai un'auto usata (avete presente Sberla dell'A-team?) e la tendenza a cadere nella retorica populista degli sprechi e della burocrazia, si e' anche dimostrato l'unico capace di adottare una retorica da leader: ha sottolineato gli errori degli altri partiti ma ha saputo andare oltre e parlare delle responsabilita' di tutta la politica; ha insistito sulla necessita' di fare le riforme, e non limitarsi a parlarne; soprattutto, ha offerto e pretesto onesta' con gli elettori. C'e' la crisi, i soldi sono pochi, non si puo' promettere granche'. Quel che ha promesso l'ha sostanziato specificando ammontare e origine dei fondi. Una strategia che forse in Italia non paga (e anche questo e' da dimostrare), ma che gli inglesi sanno apprezzare.
Oggi il Guardian conferma queste impressioni, con un sondaggio post-dibattito in cui Clegg, col 61% del consenso, schiaccia Cameron (22%) e Brown (17%).
Poi questo significa poco, perche' l'apprezzamento per la performance in un dibattito non si traduce necessariamente in intenzione di voto, soprattutto nel caso di forze terze, ma i Lib-Dem hanno fatto bel passo avanti in un percorso di piena legittimazione, approfittando al massimo della prima volta in cui hanno avuto la possibilita' di giocare alla pari con Labour e Tories.

Poi concordo che Blair se li sarebbe mangiati a colazione, con una mano dietro la schiena e Bush che gli fa il solletico.

martedì 13 aprile 2010

Emergency, l'Afghanistan e le opinioni a distanza


Sui blog e su Friendfeed si e' discusso parecchio in questi giorni dell'arresto dei tre operatori italiani di Emergency in Afghanistan, e a seguire inevitabilmente di Emergency, della situazione afghana, di Gino Strada. Lo si e' fatto con toni anche accesi, e con una radicalita' e un tasso di certezza a mio parere inconciliabili con una situazione confusa, di cui inevitabilmente si sa poco, e quel poco e' sospetto.

Detto questo, qualche opinione sono riuscito a farmela:

  1. Siamo governati da dei cialtroni talmente cialtroni che di fronte alla minima scusa per poter attaccare un avversario politico interno (peraltro gia' preso a schiaffi alle elezioni due settimane prima), perdono qualsiasi consapevolezza delle proprie responsabilita' istituzionali. Senza capire che le nostre beghe di cortile fuori confine non sono neanche prese in considerazione, e che se in queste occasioni non dimostri di saper difendere i tuoi cittadini e i tuoi interessi con forza, e' il Paese tutto ad uscirne indebolito. E fin qui nulla di nuovo.
  2. Trattandosi di personale che fornisce un servizio alla comunita' accusato di complicita' con il terrorismo, non si puo' liquidare la questione affidandosi al codice penale. Questo anche nel caso in cui un codice penale decente ce l'avessero in Afghanistan, e non ce l'hanno. E' una questione geopolitica, e segue regole e aspettative diverse. Dichiarazioni come "aspettiamo il pronunciamento della magistratura", perfettamente ragionevoli all'interno dei propri confini, in questo contesto significano che l'Italia si lava le mani del destino dei propri cittadini.(Salvo poi rettificare. Su Facebook.)

    Piaccia o no, illudersi di poter prendere una questione geopolitica e trattarla a norma di un diritto internazionale inesistente e', appunto, un'illusione. 
  3. Nel merito, le accuse di complicita' attiva in atti terroristici mi sembrano ridicole, ma questo non significa necessariamente propendere per le ipotesi di complotto. Non perche' "se le autorita' volessero chiudere l'ospedale potrebbero farlo come hanno fatto i talebani" (se chiudo d'autorita' sono dalla parte del torto; se ci trovo delle armi, formulo delle accuse e di conseguenza lo chiudo, sono dalla parte della ragione. Se poi mi va bene lo chiudono direttamente loro). Ma perche' la situazione sul campo e' un casino, gli ospedali sono strutture che non si possono permettere i check point degli aeroporti, ed un modo per nascondere delle armi in una struttura meno soggetta a controlli rispetto al resto del territorio lo si trova sempre.
  4. Proprio perche' e' una questione complessa, non se ne puo' discutere, come accade regolarmente in Italia, a prescindere dai fatti. Chi non sa aspetti, e prima di formarsi un'opinione chieda delucidazioni a chi sa. Come ad esempio il generale Mini.
  5. Detto questo, si puo' discutere di tutto, anche della scelta di Emergency di non schierarsi con nessuno, di non registrarsi con Isaf e di operare chiunque, che sia una vittima innocente o meno. Ma se ne discuta sapendo che e' questa scelta che permette ad Emergency di operare in contesti in cui nessun altro potrebbe andare.
  6. Si puo' discutere anche di Gino Strada, e del suo pacifismo radicale, e delle sue dichiarazioni di oggi e di ieri. Ma lo si faccia con il rispetto dovuto ad una persona che ha scelto una professione eticamente difficile, e che ogni giorno si trova a vivere sulla propria pelle dilemmi con cui noi non ci dobbiamo mai confrontare, ma che ci illudiamo di saper risolvere con comodo dal salotto di casa. E soprattutto non gli si chieda cio' che non dovremmo chiedere a nessun medico: di appoggiare la guerra.

La liberta' di non poter scegliere.


No a griffe e ombelico scoperto
Treviso, in classe torna la divisa

La decisione della preside: felpa e polo per tutti. Colori diversi per maschi e femmine
"Un provvedimento democratico che è anche deterrente contro il bullismo"



Per carita', la questione e' complessa, e tutto quel che si vuole... Ma dire che imporre una divisa sia un "simbolo di democrazia" dovrebbe far venire qualche sospetto. 


Aggiungere poi che e' una scelta "di libertà, perché affranca ragazzi e genitori dal dover decidere ogni mattina cosa indossare, permettendo di avere più tempo ed energie da dedicare davvero a se stessi", e' una di quelle idiozie che pronunciate in un paese serio farebbe correre i brividi lungo la schiena, ma dette da noi sono solo un'ulteriore indicazione di analfabetismo liberale.

lunedì 5 aprile 2010

Perdere e continuare a non capirci niente





"Il nostro compito ora è parlare a tutti quei cittadini che non hanno votato il centro destra. Per farlo è necessario costruire un grande progetto civico. Un programma innovativo, sostenuto da un gruppo allargato molto ampio, capace di coinvolgere persone, sia dei partiti che della società civile e questo senza rinchiudersi nei recinti della vecchia Unione.... Per coinvolgere chi non ci ha votato in questa tornata elettorale non basta fare le primarie. Questo riporterebbe la questione nel recinto dell'Unione. Al 41 per cento del Pd si aggiungerebbe il 2,9 per cento di Rifondazione comunista. Non basta, anzi può solo nuocere. Quello a cui bisogna guardare è l'elettorato potenziale che va dall'Udc ai grillini a chi non ha votato. ... E' il momento di uscire dai nostri tradizionali steccati, parlare a tutti coloro, e sono tanti, che aspettano un segnale per unirsi a noi nella costruzione di una alternativa di governo alla Moratti, a Bossi e Berlusconi"
(Penati, via Metilparaben)

Penati è lo stesso che dopo aver perso le Provinciali, da presidente in carica, ha perso anche le Regionali.
Per carità, non che gli si chiedesse di battere Formigoni, ma lui è riuscito a perdere senza neanche fare campagna elettorale (sempre che non si prenda sul serio il manifesto lì in alto), limitandosi ad un paio di dichiarazioni che hanno avuto il solo effetto di far incazzare i suoi stessi elettori

Ecco, dopo non aver capito una mazza di come si gestisce un'elezione persa in partenza (se si è bravi la si usa per costruirsi un profilo più alto da spendersi più avanti, ma quantomeno si cerca di non perdere voti), dimostra di non capire, nell'ordine, Milano e le primarie:

Primo: A Milano la politica, almeno come la intende Bers Penati, non esiste. Zero. Nichts. 
Esistono il Pdl, che anni di governo hanno generalmente trasformato in una joint venture affaristica con la Compagnia delle Opere. Esiste la Lega, che come ovunque si comporta più da sindacato che da partito, e che non a caso qui conta meno che altrove. Esistono pochi bravi ragazzi del PD, storicamente trascurati dal partito che da tempo ha dato per persa la seconda città più grande d'Italia. E non esiste l'Udc, dato che l'area cattolica è occupata militarmente da Formigoni. 
In questa situazione, il modello ligure, ovvero l'alleanza a tavolino dalla sinistra dall'Udc, è la sommatoria del niente.


SecondoLe primarie permettono proprio di uscire dai propri tradizionali steccati, a maggior ragione a Milano dove gli iscritti sono talmente pochi che non vale nemmeno la pena di cominciare la solita discussione "primarie di partito vs primarie di coalizione". O pensiamo che in Puglia Vendola abbia raccolto il consenso solo dei fedelissimi del partito? 


Le primarie servono a tre scopi: conquistare spazio nel dibattito pubblico; formare i candidati attraverso un'esperienza di competizione e leadership; coinvolgere i potenziali elettori in una scelta comprensibile e partecipata, per allargare i confini del partito oltre le porte delle segreterie. 


A questo punto, chiederei a Penati: il PD è già protagonista a Milano o ha bisogno di conquistare spazio mediatico? Ha candidati autorevoli e riconosciuti, o ha bisogno di costruirli? Gode già di una forte partecipazione da parte degli elettori, o ha bisogno di trovare il modo di coinvolgerli?


Poi la risposta se la dia lui...

Vincere e non capirci niente


Il rilancio di Formigoni sfida alla Lega sul federalismo

Il rilancio di Formigoni
sfida alla Lega sul federalismo

Il Governatore pronto ad affrontare la Lega sul suo terreno, denuncia i ritardi del governo sulla riforma dello Stato: ". Quello fiscale non basta". E sul prossimo sindaco conferma: "Finora nulla è deciso. Sarà Berlusconi a intervenire"

Visto che è destino che se ne parli nelle prossime settimane, cerchiamo di chiarire una cosa: agli italiani del federalismo non gliene frega una mazza!
Certo, sì, c'è stato un momento, intorno a Mani Pulite, in cui sembrava la Terra Promessa, ma è stato, appunto, più di 15 anni fa, ed era solo un sintomo dell'esasperazione verso la degenerazione della politica, quindi della politica romana, quindi di Roma.
E certo, la Lega continua a riciclare il suo "Roma Ladrona", ma è più uno slogan identitario che altro, simmetrico al "Padroni a casa nostra". Slogan efficaci, ma spicci, senza grandi ambizioni riformiste.
Bossi sa che i propri elettori vogliono solo quel tanto di potere che basta a decidere di chiudere i kebab, tenere gli immigrati fuori dalle case popolari e distribuire un pò di soldi agli amici. Per il resto, per non pagare le tasse basta mandare Berlusconi a Roma, e anche della RU486 in fondo chi se ne frega...
Per chi vede la politica come una forma di amministrazione condominiale in larga scala sai che fascino possa avere un grande progetto di riforma istituzionale...!
La Lega lo sa benissimo, ed è per questo che continua a rivendicare il federalismo. Perchè è una rivendicazione forte, ma di cui nessuno le chiederà mai conto.